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Capoeira: un linguaggio in continua evoluzione
Musilbrasil.net - Luglio 2008
Mestre Chiquinho
Siamo ormai nell'era della globalizzazione, l'evoluzione è continua e costante, e abbraccia tutti i settori, tra cui il linguaggio stesso. E la Capoeira, come è giusto che sia, ha la sua evoluzione, perchè la capoeira è un linguaggio del corpo, proprio come le differenti lingue sono tipologie di linguaggi verbali.
La capoeira è un linguaggio perchè nasce appunto dalla necessità di comunicare. I colonizzatori giunti in sud america sfruttarono gli indios autoctoni, usandoli come schiavi nelle piantagioni: ma non fecero solo questo. Sottoposero (inconsciamente) gli indios a malattie nuove, così che queste popolazioni si ridussero notevolmente. Necessitando quindi di maggior manodopera, cominciarono a portare schiavi dall'africa, prendendo quante più persone possibile da differenti tribù. Il risultato era quello di avere schiavi incapaci di comunicare fra loro perchè non v'era una lingua comune, e nemmeno una religione comune: in queste condizioni non v'era il rischio di rimanere vittime di ribellioni organizzate. Ma il desiderio di liberazione, l'istinto di sopravvivenza, fece sì che questi schiavi riuscirono a trovare un linguaggio comune, un linguaggio del corpo: ecco le radici della Capoeira [Caà-puera], che in lingua Tupi-Guaranì (i Guarani sono ora una minoranza, ma ai tempi erano autoctoni di quello che ora è il Brasile) veniva usata per indicare l'"erba tagliata" dove gli schiavi praticavano quest'arte oppure fuggivano.
Questo linguaggio fisico poi cominciò a divenire anche un'arma in mano agli schiavi, un'arma che vide le prime, apparentemente inutili, vittorie. Apparentemente perché forse proprio queste spinsero gli schiavi a continuare ad unire le proprie esperienze e conoscenze. Erano movimenti, nati dalla semplice osservazione ed emulazione del mondo animale. I colonizzatori cominciarono a prestare attenzione a quel nuovo linguaggio nato impedendo loro di praticarlo ancora. Venne dunque inserita la musica, per nascondere le vere intenzioni, così che l'arte della Capoeira si potesse affinare e tramandare senza destar sospetto agli oppressori, convinti che non fosse che un ballo tribale. Si utilizzavano strumenti rudimentali, fatti con gli oggetti a loro più vicini e comunque più poveri. Lo stesso berimbau era, un pezzo di legno flessibile teso a forma di arco da un filo di metallo, arame, e con una zucca allacciata nella parete inferiore e veniva suonato con un sasso (probabilmente), una bacchetta e un chocalho chiamato Caxixi: rappresentava (e rappresenta tutt'ora) lo strumento maestro, quello che detta la velocità, il ritmo, l'intensità della musica e di riflesso dell'esecuzione dei movimenti da parte degli schiavi.
La storia vuole poi che la musica, unita al canto, divenisse parte integrante della Capoeira e l'evoluzione dell'interpretazione di quest'arte portò all'aggiunta di nuovi ritmi: Mestre Bimba introdusse il Sao Bento Grande di Regional con una visione minimalista della batteria e un gioco più marziale, Mestre Canjiquinha inserì il muzenza, il samango e il samba da roda. Altri ritmi come la Cavalaria (un ritmo che veniva utilizzato per comunicare la presenza di un pericolo incombente) vennero comunque mantenuti, così che il bagaglio culturale della Capoeira continuasse ad aumentare, senza dimenticarne mai l'origine.
La roda rimane forse il più forte anello di congiunzione fra il passato ed il presente. I capoeristi, ossia i praticanti di quest'arte, si uniscono formando un cerchio, e cominciano a cantare seguendo il ritmo del berimbau. Due alla volta entrano in mezzo a questa roda ed esprimono il proprio essere, mettendo in pratica sequenze talvolta studiate e talvolta improvvisate, incastrando fra loro i movimenti e donando così a quel momento un'ulteriore nota artistica. Ma si sa che il tempo porta modifiche anche e talvolta queste possono portare a distaccarsi dalle tradizioni. La stessa cosa accade in questo campo. È molto facile trovare gente disposta a insegnare capoeira solo per arrotondare, che utilizza titoli e veste abbigliamento privo del loro reale valore. Spesso questi portano a credere a chi per la prima volta si avvicina alla Capoeira, che la corda indica il livello, ma non è propriamente così: la corda serve al singolo individuo per fargli comprendere che dietro l'ottenimento della stessa v'è stato un duro lavoro in tanti ambiti. Il suo significato intrinseco ricorda al possessore i sacrifici fatti ed il duro allenamento praticato per giungere a quel traguardo personale. Servirebbero mille corde per individuare il cammino di ognuno di noi, ma allo stesso tempo ne è sufficiente una, quella che ci fa capire che noi siamo i maestri di noi stessi. Inoltre un buon Mestre, insegnerà ai suoi allievi a rapportarsi con chiunque e non solo con i propri compagni.
Ma se ci trovassimo per strada?
Può capitare talvolta di trovarsi in condizioni da “briga de rua” ossia lite da strada: se riprendiamo il concetto di Capoeira come linguaggio, allora vi posso dire senza nessun dubbio che il linguaggio in una situazione del genere sarà maleducato, poco ragionato, e soprattutto privo dell'attenzione nella dovuta scelta dei termini. Cosa significa? Significa semplicemente che in una briga da rua, è facile che con una preparazione non adeguata, non si pratichi capoeira, ma solo movimenti che per certi aspetti vi assomigliano, ed è per questo che nelle Academie (ossia ogni luogo in cui viene insegnata Capoeira) viene insegnato anche questo aspetto. Tutto ciò la rende più completa. Vengono insegnate mosse, ma anche cultura, tradizioni, disciplina, così che quando un allievo raggiungerà la piena consapevolezza di sé e di tutte queste sfaccettature saprà come muoversi in una roda o in una briga da rua.
Bisogna ricordare che la capoeira non fa leva solo sulla forza fisica o la forza dei propri colpi, ma si basa maggiormente su malizia e mandinga.Capoeira è un linguaggio, una cultura, una tradizione.. è da scoprire, sia sulla carta che nella roda..
“Capoeira è defesa, ataque a ginga de corpo e a malandragem”Claudio Ferrari Forrobodò - Simone Bianchessi Palmito