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chiquinho, dal brasile, maestro di capoeira
Giornale La Piazza - Giugno/Luglio 2005 - a cura di Francesca Sturaro
La consapevolezza di un percorso importante
Di lui dicono che sia "multimediale" ma, faccia a faccia, quello che più colpisce è la sua immediata vivacità. Molti sono di sicuro i "mezzi" che Francisco Levino Correa da Silva - in arte o per affetto detto Chiquinho - utilizza per mettere la sua bravura a disposizione di molti, dai corsi alle feste passando per le esibizioni, ma ciò che lo rende un vero e proprio Mestre (maestro) sono la passione per le sue origini, una vitalità e un energia speciali, la voglia, quasi ansiosa, di condividere e comunicare. Il più agile e agitato di undici fratelli, classe 1958, nato sulle rive del San Francisco il secondo fiume brasiliano, fa fatica a ricordare la genesi del suo amore per il movimento, ben presto trasformato in ragione di vita, obiettivo da realizzare nonché lavoro. "Mia mamma diceva di me che son nato tostato e ballerino.
La prima definizione era legata al colore della mia pelle: una sfumatura caffè che mi contraddistingue dai miei fratelli, alcuni dei quali addirittura bianchi, e deriva dalle mescolanze fra indio, neri e portoghesi che il mio albero genealogico rivela. La seconda, invece, descrive il mio frenetico movimento, dalla pancia di mia mamma in poi, forse complice il fatto che vivevamo su una barca sempre in rollio..." Comincia così la storia di chi ha davvero "il ritmo nel sangue", la capacità di ballare tutte le danze latino americane e un interesse viscerale a conoscerne le origini, le regole, le diverse possibilità di espressione. Un curriculum da insegnante di storia e geografia o una laurea in studi sociali non riescono a tenere Chiquinho lontano dalla musica e, nonostante la necessità di approfondire anche la didattica della danza, la voglia di ballare si fa sempre più intensa.
Arriva il giorno di lasciare il Brasile che non offre le giuste opportunità, calvalcando la moda della lambada che imperversa oltreoceano, fino alle coste italiane scelte praticamente per caso. Tra Roma e Bologna, ballando e insegnando di tutto dalla salsa al merengue, per arrivare poi all'espressione che meglio riassume lo spirito verdeoro, la capoeira. Più di un ballo, una vera e propria disciplina, a cavallo fra l'arte e la filosofia con profonde radici nella storia e nel folclore. "Ci vogliono molti anni per diventare maestro di capoeira e quando sono arrivato in Italia era un ballo praticamente sconosciuto. Mi è venuta l'idea e la voglia di provare a diffonderne il fascino e sono stato il primo a Bologna con tutte le fatiche e le resistenze che si possono immaginare".
Adesso le adesioni non mancano, i corsi sono frequentati e la curiosità è crescente. "Ho continuato a fare il ballerino e il coreografo perché volevo coltivare anche quel lato della mia carriera artistica" - racconta il brasiliano. Però tra la partecipazione a "Gli altri siamo noi", videoclip di Umberto Tozzi, "Ombelico del mondo" di Jovannotti e "Happy feet" di Paolo Conte, Chiquinho non ha mai smesso di insegnare agli altri a ballare. Tra le difficoltà, quella di portare avanti un lavoro che richiede costanza e tempi lunghi che gli allievi - spesso studenti di passaggio - non hanno; perché la capoeira è sì agilità del corpo ma è anche ricchezza di pensiero e terapia dell'anima. "Da queste caratteristiche deriva anche l'importanza della figura del "mestre" - racconta Chiquinho - "Bisogna tramandare agli allievi non solo la musica, le coreografie, la tecnica delle acrobazie e gli allungamenti ma anche la forza dello spirito. Per imparare la capoeira ci vuole un buon maestro, di cui l'allievo si possa fidare e con cui possa crescere, perché in lui trova esperienza e conoscenza profonda della pratica, fonte di rispetto e consapevolezza di essere parte di un percorso importante. A questo, infine, si dovrebbe aggiungere la dimestichezza con la storia della capoeira e la comprensione del suo valore sociale". Nata da mescolanza di culture e movimenti, la capoeira racchiude il desiderio di libertà. E' una forma di autodifesa, una sorta di arte marziale, che nelle evoluzioni ha trovato la sua espressione in una danza quasi senza contatto.
Le antiche e affascinanti origini raccontano di schiavi neri costretti a lavorare nelle piantagioni, incatenati ai polsi e spinti ad inventare una lotta, incentrata sulla forza e l'agilità delle gambe, per difendersi dai soprusi dei padroni e per escogitare la fuga. Gli elementi di danza (samba) e musica (percussioni e berimbau) furono forse inseriti dagli schiavi per mascherare le proprie intenzioni, ma sono tutt'oggi parte integrante della disciplina. Dopo aver formato un cerchio (la roda) in cui tutti suonano e cantano col berimbau (tipico strumento a corde), si dà inizio al confronto (chiamato "gioco") tra i primi due lottatori-danzatori. E inizia una spettacolare forma acrobatica di ginnastica dove, dignitosi e sorridenti, i "giocatori" si guardano negli occhi creando un'armoniosa combinazione di movimenti dove il confine fra il rispetto e l'aggressione, il corteggiamento e il combattimento si fa labile. E l'atmosfera coinvolgente.
A vedere Chiquinho danzare o giocare, come è più corretto dire, si respira l'energia di chi è consapevole del suo corpo, dello spazio che occupa, della forza che emana. Un capoerista calmo, tranquillo e calcolatore, con un certo misticismo, tanta lealtà verso i compagni e assoluta obbedienza alle regole oltre ad una agilità, contenuta in un fisico minuto e nerboruto, che ha dell'incredibile. Pratica di fitness ma anche disciplina che ha assunto rilevante importanza sociale, grazie all'azione di recupero dei bambini brasiliani dalle strade, la capoeira è molto diffusa in patria e, da Pelè a Ronaldo, ha mille estimatori. "Noi brasiliani abbiamo la possibilità di essere ambasciatori di una cultura incredibile e ricca. Io cerco di mostrare al mondo la parte non stereotipata del Brasile che non è solo donne, calcio e carnevali."- aggiunge il maestro.
Quindici anni italiani, quasi tutti felsinei, dedicati a diffondere l'essenza più vera della cultura brasiliana attraverso l'insegnamento della capoeira ma anche della lingua e della musica del suo popolo grazie all'attività di Oloxum, associazione ma anche gruppo multietnico formato da musicisti, percussionisti e ballerini che organizzano corsi, stage, feste e incontri da Bologna a Reggio Emilia. "Le danze popolari - conclude Chiquinho - vengono spesso sottovalutate, si pensa che basti il ritmo e che l'improvvisazione nasca per magia. In realtà la didattica è molto importante, un buon metodo e un buon maestro fanno ottimi ballerini, consapevoli, agili e maturi".