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Breve storia della capoeira
Musilbrasil.net - Luglio 2007

Mestre Chiquinho

mestre chiquinho

Nonostante il sistema schiavista fosse strutturato per sfiancare ogni desiderio di ribellione e distruggere le difese psicologiche di uomini e donne, la sete di libertà dei fieri popoli africani si dimostrò impossibile da spegnere. Individualmente o in gruppo gli schiavi organizzavano fughe e ribellioni, combattevano i padroni in segreto o apertamente. Popoli da sempre in competizione nella terra natale si trovavano ora a collaborare, superando le differenze linguistiche e culturali e le vecchie faide. Le culture africane si fondevano a creare una nuova identità già nelle senzalas.

Le fughe che avevano successo si concludevano di solito con la fuga nella foresta, dove i neri, per sopravvivere si organizzavano in piccole società o villaggi. I portoghesi per reazione istituirono dei gruppi di cacciatori di taglie, costituiti per lo più da schiavi (capitães do mato) a cui il padrone (senhor do engenho) aveva concesso in cambio dei loro servigi, la libertà e un lavoro. Paradossalmente, passando dalla parte del nemico, forse a causa della coscienza di avere tradito i propri compagni, i gruppi di capitães do mato sono tristemente ricordati per la loro efferata crudeltà.

I gruppi di fuggitivi rimanevano nascosti nella foresta, in zone sconosciute al nemico e difficili da raggiungere, che venivano strenuamente difese con la guerriglia ed il depistaggio. Ben presto le comunità diventarono vere e proprie cittadelle fortificate, con tanto di eserciti, di possedimenti e di traffici commerciali e che non tardarono a creare problemi ai coloni portoghesi. Queste strutture presero più tardi il nome di quilombos (letteralmente accampamento o fortezza) e divennero i simboli della possibilità di una vita nuovamente libera.

Tuttavia non si deve pensare che solo i negri africani abitassero nei quilombos : vi abitavano anche indios ricercati per «sommossa» (termine piuttosto generico che comprendeva anche quella che per noi oggi sarebbe semplice difesa della propria identità e cultura) e coloni europei poveri, delinquenti o bianchi avversi al sistema coloniale fondato sui clientelismi e la prepotenza. In questo modo i quilombos diedero vita a fertili società multietniche, con Amazonas, Maranhão, Pernambuco, Bahia, Sergipe, Mato Grosso, Minas Gerais, São Paulo, Santa Catarina e Rio Grande do Sul. Il quilombo più grande e famoso rimane il Quilombo de Palmares, di cui parleremo tra poco.

Parte del bagaglio culturale dei popoli riuniti in queste oasi di libertà era costituito da tradizioni marziali e tecniche di lotta corpo a corpo che si rivelarono l'arma fondamentale per la difesa di queste comunità. Alle forme di combattimento africane che prediligevano l'uso delle gambe e di prese e proiezioni (come ad esempio il batuque) si aggiunsero le tecniche di corpo a corpo degli agili indios, abituati alla giungla, e quelle degli esiliati portoghesi (si pensi solo alla navalha, il rasoio, dei fadisti). Da questa unione di culture, dalla prestanza fisica dei corpi abituati al lavoro e alla vita aspra della foresta, dalla necessità di sopravvivere e dall'ansia di libertà nacquero i primi germogli della Capoeira. Come fosse in origine la capoeira non ci è purtroppo dato saperlo con certezza, nonostante lo sforzo di alcune tradizioni di mantenerla nella sua forma più pura. Di certo subirà molti cambiamenti, prima di diventare come noi la conosciamo, adattandosi in un primo tempo alla vita di città (questo è proprio il caso della navalha), poi alla necessità di valorizzare gli aspetti coreografici (come l'importanza crescente dell'aspetto musicale).

Alcuni fuggitivi poi catturati dalle spedizioni portoghesi, una volta di nuovo nelle fazendas, si preoccupavano di diffonderne la pratica tra gli schiavi, ma la tradizione che la musica avesse il ruolo di mascherare l'aspetto marziale ai carcerieri potrebbe essere una forzatura. I diari dei capi dei capitães do mato fanno riferimento ad uno modo di combattere, «usando calci e testate come fossero veri animali indomabili» e a partire del 1814 la pratica della capoeira venne ufficialmente vietata agli schiavi insieme ad altre forma culturali che permettevano aggregazione. È quindi difficile credere che i padroni non si rendessero conto per nulla delle finalità combattive della capoeira.

Se consideriamo queste premesse, non è possibile negare l'enorme  influenza  che  la cultura  africana ebbe sulla capoeira, ma dire che la capoeira sia «cosa africana» significa manipolare i fatti e la storia. La capoeira è il prodotto dell'interazione di molte culture e di necessità proprie dello schiavo o del ribelle che viveva nell'antico brasile, come l'oppressione fisica, psicologica e culturale, la mancanza di qualunque arma, il desiderio di libertà e la necessità di dissimulare.

In Pernambuco, nella zona di Recife, 40 schiavi si ribellarono al padrone, uccisero  tutti  coloro che non erano schiavi  e bruciarono la fazenda,  dopodiché si dichiararono liberi e decisero di  trovare un posto in cui potessero rimanere tranquilli al sicuro dai cacciatori di schiavi. Si diressero quindi verso le montagne della Serra da Barriga e intrapresero un viaggio che durò parecchi mesi e che sarebbe stato impossibile portare a termine se non fosse stato per l'aiuto degli indios. In una zona montagnosa circa 70 chilometri dalla costa, la Serra da Barriga offriva enormi distese di palme, intricate e difficili da attraversare, fino a quel momento ignorate dai coloni europei. Il piccolo villaggio che vi nacque prese il nome  "Angola Janga" (piccolo Angola), ma è ricordato come "Palmares", per via della grande quantità di palme. In questo luogo nacque la più grande comunità organizzata di negri liberi in Brasile.

La Serra da Barriga è probabilmente la terra in cui nacque la capoeira, infatti fornì rifugio per prima alle bande di schiavi in fuga e nel corso dei secoli ospitò parecchi quilombos, ma il più grande e il più noto rimase sempre Palmare, la cui storia è esemplificativa di quella delle altre comunità minori della zona. La República dos Palmares, così venne chiamata, fu fondata nel 1597 sopravvisse fino al 1693, ed era situata in una vasta zona della Capitania de Pernambuco, in Alagoas, coperta di foresta e difficilmente accessibile, a circa 500 metri di altitudine. Nel periodo di massima espansione la comunità del quilombo raggiunse addirittura le 20mila unità.

Dalla sua nascita Palmares crebbe rapidamente perché sempre più persone vi cercavano rifugio, neri principalmente, ma anche bianchi e indios, era diventata un punto di riferimento e una terra promessa da raggiungere, il suo mito dava forza a chi era oppresso, sfruttato o in catene. In questo ambiente culturalmente ricchissimo e variegato, ciascuno condivideva con gli altri ogni cosa (non esisteva la proprietà privata), a cominciare dal cibo fino alle tradizioni culturali, usi ed i costumi venivano condivisi ed insegnati, così come la mitologia, la  religione, i rituali e le danze: in questi luoghi  nasceva la cultura brasiliana, ricca, sincretica e variegata, né del tutto europea o india o africana, ma al contempo tutte queste. La struttura sociale era prevalentemente matriarcale, come nelle comunità africane (questa centralità della donna-capofamiglia è ancora presente nella cultura popolare brasiliana) e la comunità era guidata da una sorta di re.

Tutto ciò preoccupava i colonizzatori portoghesi: Palmares era un elemento destabilizzante e la sua gente poteva scendere dalle montagne per attaccare le fazendas, liberare altri schiavi e causare ingenti perdite economiche (ricordiamo che anche gli schiavi venivano acquistati). Inoltre  gli abitanti del quilombo organizzavano frequenti razzie ai danni dei fazendeiros. L'invasione del nord-est da parte degli olandesi nel 1630 indebolì ulteriormente la presa portoghese sul territorio. Naturalmente gli abitanti di Palmares non tardarono ad approfittare della situazione: i ribelli organizzarono numerose spedizioni contro i coloni, costretti quindi ad affrontare due nemici contemporaneamente. Gli olandesi vinsero impossessandosi per qualche tempo delle terre del nord-est, entrando così in scontro diretto con le forze del quilombo. La spedizione olandese del 1644 diretta contro Palmares però non riuscì neppure ad arrivare e lo stesso accadde alla seconda spedizione, inviata solo pochi anni dopo.

Se consideriamo che queste spedizioni erano composte da soldati esperti e ben armati, possiamo capire la validità del sistema difensivo di Palmares, basato su «la guerra della giungla» un sistema di guerriglia e imboscate, basato su sorpresa, conoscenza del territorio e valore dei propri guerrieri, per i quali la capoeira si rivelò uno strumento fondamentale. La storia ci tramanda il nome di Ganga Zumba, re negli ultimi anni di vita del quilombo di Palmares, che in seguito alla prima pesante sconfitta subita dall'esercito ribelle, nel 1676, entrò in contatto con le autorità portoghesi per firmare un trattato che permettesse la reintegrazione degli abitanti nativi di Palmares nella società coloniale come uomini liberi, abbandonando definitivamente il rifugio nelle montagne.

Il nipote di Ganga Zumba è il leggendario Zumbì dos Palmares, eroe immortale per il popolo brasiliano di origine africana e simbolo di libertà e lotta alla schiavitù. Zumbì nasce nel quilombo, ma viene catturato in tenera età durante una spedizione portoghese. Ribattezzato Francisco e allevato con educazione europea da un padre gesuita è ricordato come estremamente colto ed intelligente. Non avendo mai dimenticato la sua vera casa, all'età di 15 anni tenta la fuga e riesce nell'intento di raggiungere di nuovo Palmares, dove ben presto si distingue per le eccezionali doti di guerriero.

Non va ignorato la vicinanza etimologica del nome Zumbì a quella del termine zombi, il morto vivente delle tradizioni haitiane, presumibilmente originarie delle stese popolazioni africane deportate in Brasile. Zumbì già dalla sua storia infantile è il redivivo, colui che torna dalla sconfitta (morte) per sistemare un conto rimasto in sospeso, schiavo anch'esso, come il morto vivente, di un signore, ma in questo caso il signore è il popolo o meglio la sua fame di vendetta e libertà. Zumbì si oppose alla decisione dello zio Ganga Zumba e diventò il valoroso capo della resistenza fino alla definitiva capitolazione del quilombo dos Palmares, avvenuta nel 1693, per opera del capitano Domingos Jorge Velho, a capo di una spedizione di 14mila uomini che assediò a lungo la fortezza, con l'ausilio anche di 200 cannoni.

Nonostante fosse stato dato per morto, Zumbì riuscì a salvarsi (o almeno così dice la leggenda) e solo un anno dopo scorrazzava di nuovo per il nordeste al comando di duemila ribelli. La morte di Zumbì avvenne il 20 novembre 1695 pugnalato dall'amico Antonio Soares, che imprigionato e torturato duramente aveva promesso di tradirlo in cambio della libertà. Proprio il 20 novembre 1695 è ricordato come "Dia da Consciência Negra" una delle più importanti festività del calendario brasiliano. La Serra da Barriga è nell'attuale municipio di União dos Palmares, a circa 100 km da Maceió, nel sito storico del quilombo dos Palmares ed è stata riconosciuta negli anni 80 come monumento storico dal governo federale e successivamente, come monumento nazionale. Oggi è un luogo turistico in cui è possibile conoscere più approfonditamente la storia dei quilombos o partecipare a grandi manifestazioni in occasione del Dia da Consciência Negra (Giornata della coscienza negra).

Molti degli abitanti delle comunità degli ex quilombos non sono stati ancora riconosciuti dal governo come legali proprietari  delle terre che abitano da decine di generazioni, prima ancora che nascesse lo stato brasiliano moderno, e sono state vittime di numerose espropriazioni e violenze da parte di portatori di interessi economici o aziende votate al profitto. Gli abitanti delle comunità libere nate dai quilombos, sostenuti anche da iniziative umanitarie internazionali, stanno sviluppando coscienza dei loro diritti e combattendo molte battaglie legali per tenere la propria terra e la propria identità. La schiavitù è stata abolita ufficialmente in Brasile nel 1888, ma situazioni di questo tipo ci fanno capire come in più di due secoli i problemi legati alla colonizzazione siano molto più che un'ombra, anzi ben reali e presenti.

Di fronte a tutto questo chi pratica la capoeira non deve dimenticare da che cosa è nata la sua arte, le sue radici di sofferenza e oppressione, elementi che esistono ancora in troppi luoghi, in Brasile e ovunque nel mondo. Ogni Mestre è tenuto a diffondere e tramandare questo enorme bagaglio culturale e questa fame di libertà che vivono nella capoeira, come compito imprescindibile.